Nella lingua italiana la compassione ha diverse accezioni a seconda della sua etimologia: se la si considera come derivata dal latino compassio -onis, der. di compăti «compatire», rappresenta un sentimento di pietà verso chi è infelice, verso i suoi dolori, le sue disgrazie, i suoi difetti e pone quindi chi la prova in un’implicita posizione di superiorità nei confronti del destinatario del sentimento; se invece si considera la sua derivazione da cum patior, essere con l’altro nel soffrire, assume un significato più profondo e di valore e rappresenta un forte sentimento di simpatia e tristezza per la sofferenza o la sfortuna degli altri e un desiderio di aiutarli, ponendo dunque chi la prova e chi la riceve sullo stesso piano.
L’essenza della compassione è quindi il desiderio di alleviare la sofferenza degli altri e di contribuire al loro benessere. Il Dalai Lama sostiene che la Compassione non sia una questione religiosa, ma una questione umana, non un lusso, ma qualcosa di essenziale per la nostra pace e stabilità mentale, che rende felice chi la pratica e non solo chi la riceve, tanto da affermare: “Se vuoi che gli altri siano felici, pratica la compassione. Se vuoi essere felice tu, pratica la compassione”.
Ci sono momenti della vita in cui la nostra capacità di dare e ricevere compassione diminuisce a causa di circostanze difficili o dolorose; queste possono innescare circuiti neurologici che ci tengono inchiodati a un inutile rimuginare, al ripetersi di pensieri insistenti di scontento e lamentela. Una strada per liberarci da questo dialogo interiore disfunzionale è quella dell'auto-consapevolezza, della centratura e dello sviluppo della compassione. Respirare in modo tranquillo e bilanciato ci permette di raggiungere uno stato di equilibrio e di centratura; portare poi compassione all’interno del proprio cuore ed espanderla ci permette di trasformarci in persone più compassionevoli ci fa aprire alla sofferenza degli altri e alla nostra stessa sofferenza, perché la costruzione della compassione inizia con la creazione di un po' di autocompassione.
Perché se proviamo compassione per noi stessi, se mettiamo a tacere il feroce giudice interiore sempre pronto a puntare il dito, riusciamo ad abbassare anche le aspettative che abbiamo nei confronti degli altri e riusciamo ad essere più compassionevoli nei loro confronti. L’autocompassione implica la consapevolezza che nel nostro profondo siamo brave persone, con buone intenzioni, e che anche noi siamo umani.
Per il modello mBraining*, la Compassione è l’espressione più elevata del cervello del cuore e quando la pratichiamo, se comunichiamo e agiamo con tutti e tre i nostri cervelli allineati, potenziamo l'Espressione Superiore di tutto il Sé, e possiamo quindi far emergere tutta la nostra saggezza. La compassione, infatti, è veramente compassione solo quando non si limita a provenire da un cuore compassionevole, ma è anche allineata con la creatività del nostro cervello della testa, dove risiedono conoscenza e comprensione, e con il coraggio del nostro cervello della pancia, dove risiedono motivazione ad agire, sentire profondo rispetto alla nostra identità e ai rischi che affrontiamo.
La vera compassione ha dunque a che fare con la conoscenza, la connessione e l'azione: amare e fare, avere a cuore e prendersi cura; è una questione emotiva, ma anche pratica, è logica e al contempo idealistica, è un dare e ricevere nel medesimo istante.
* Trovi un approfondimento sul modello mBraining e sul cervello del cuore nella sezione mBraining