Nella psicoterapia della Gestalt c’è una tecnica molto interessante ed efficace nominata dal suo fondatore, Fritz Perls, “tecnica della sedia vuota o calda”; il suo scopo è quello di facilitare il contatto fra le molteplici sfaccettature dell’esperienza e le variopinte sfumature della vita emotiva della persona, facendo dialogare fra loro personaggi o parti di sé.
La PNL ha mutuato in parte questa tecnica, utilizzandola nell’esercizio delle posizioni percettive, che viene usato nel coaching per affrontare situazioni di conflitto, situazioni non risolte o di contrasto con qualcuno. Dopo aver esposto il tema al coach, il coachee lo rivive da tre punti di vista differenti: prima il suo, la sua posizione nel vedere la situazione esponendola con dubbi, eventuali accuse e richieste, immaginando di avere di fronte l’altro, cioè la persona con cui sente di essere in conflitto; poi si sposta fisicamente nella posizione del suo antagonista e parla in prima persona come se fosse proprio lui, col suo modo parlare, di esprimersi e di muoversi.
Già questo passaggio è molto potente, poiché si mette in atto realmente quel che si dice “mettersi nei panni dell’altro” e, facendolo in prima persona, si può entrare davvero in contatto col suo punto di vista. Infine, c’è la terza posizione percettiva, che è quella di una persona molto cara al coachee, e che a sua volta lo ha a cuore e lo conosce a sufficienza per dargli un consiglio: questa terza persona ha idealmente osservato l’interazione fra i due e in base a ciò che ha visto può indicare una possibile strada da percorrere per sciogliere il conflitto da cui si è partiti.
Ogni passaggio di questo esercizio è davvero importante, il primo perché ci si ascolta nell’esporre la prima posizione e si ha la possibilità di osservare le proprie convinzioni limitanti ed eventualmente le proprie rigidità; il secondo perché ci si mette veramente nei panni dell’altro e dicendo “io” si prova davvero a stare nell’altra posizione. Il fatto è che ognuno di noi è fatto di varie parti e, nel definirsi, decide di esprimere maggiormente alcuni elementi e metterne in secondo piano altri, ma nel momento in cui ci si trova a parlare dal punto di vista dell’altro, le nostre parti messe in ombra emergono ed è proprio allora che ci permettiamo di aprirci a nuove possibilità.
Infine, la terza posizione è la mia preferita, perché è dove veramente facciamo parlare la nostra saggezza interiore e ci diamo il permesso di ascoltarla perché si tratta di una voce che in qualche modo è camuffata, travestita da qualcun altro di cui ci fidiamo; è a partire da questo consiglio che possiamo davvero pianificare un piano d’azione con l’obiettivo preciso di superare quel conflitto che, arrivati a quel punto, sembra diventato molto più piccolo.
Mi rendo conto che spiegarlo non è certo come provarlo personalmente, guidati da un coach, ma è una delle mie tecniche preferite perché ci fa toccare con mano il fatto che siamo fatti da più parti e che dargli voce è fondamentale per integrarle e trovare una nostra completezza che ci permette anche di uscire da certe rigidità.